MASSIMO CASALNUOVO, UN CALCIO ALLA VERITÀ

Ottobre 13, 2012 0 Di admin

A più di un anno dalla morte del ragazzo di Buonabitacolo si attende l’udienza preliminare. Imputato un carabiniere che nega il suo coinvolgimento.

Giovanni Cunsolo, carabiniere di Buonabitacolo, avrebbe ricevuto l’avviso di conclusione delle indagini circa un mese fa. E’ lui l’unico indagato per la morte di Massimo Casalnuovo, 22 anni, caduto dal motorino in via Grancia a pochi metri da casa sua. L’imputazione è di omicidio colposo, che forse potrebbe anche diventare aggravato. Ma in aula – se si arriverà a un processo – sarà battaglia, perché il carabiniere professa la sua innocenza, dice che Massimo è caduto da solo dal motorino, e che anzi il sopravvissuto è lui, visto che Massimo avrebbe tentato di investirlo.

La storia

Massimo muore il 20 agosto del 2011, intorno alle 21, arriva all’ospedale di Polla agonizzante dopo la caduta dal motorino. Il ragazzo viaggiava su uno scooter, era senza casco. Ma: attenzione. Non è morto per aver sbattuto la testa (come si tende a far credere) ma per la violenta botta al torace. Massimo era appena uscito dalla officina in cui lavorava con il padre. Non prendeva il motorino da un po’ di tempo. Lo aveva appena aggiustato. Era stato a fare un giro e stava tornando a casa. Non aveva indossato il casco. Lo fanno un po’ tutti a Buonabitacolo. Quella sera la pattuaglia dei carabinieri con a bordo il maresciallo Giovanni Cunsolo e l’appuntato Luca Chirichella decidono di controllare i ragazzi senza casco. Ne fermano due: Elia Guerra e Emilio Risi. I carabinieri mettono la macchina di traverso sulla strada. Formano una specie di posto di blocco. Peccato che lo fanno dietro una curva.

La “scena” si svolge sulla strada principale della città, via Grancia, che porta a una piccola piazza dove di sera si ritrova la gente del paese. Cunsolo è seduto dentro la gazzella e sta redigendo la contravvenzione. Massimo sta arrivando con il suo scooter Beta 50. Sin dal primo momento la versione dei due ragazzi fermati e quella del carabiniere sono opposte.

Cunsolo dirà che Massimo, arrivato davanti al “posto di blocco”, accelera, quasi lo investe. Poi perde il controllo del ciclomotore e cade, battendo la testa su un muretto a secco. I due ragazzi, interrogati la notte dell'”incidente” dal pm Sessa della Procura di Sala Consilina, hanno invece fornito un’altra versione: Cunsolo era dentro alla macchina, quando vede arrivare Massimo esce dall’auto e per fermarlo sferra un calcio sulla carena del motorino. E’ quel calcio che fa perdere l’equilibrio a Massimo. Che cade, e muore.

Ma perché Massimo non si ferma? La versione fornita dai carbinieri, che parlarono in modo ufficiale come caserma in un comunicato il giorno dopo la morte del ragazzo – prima ancora della formalizzazione dei primi verbali – è che il ragazzo non voleva fermarsi al posto di blocco. In pratica, voleva fuggire perché era senza casco. Versione credibile: la solita ragazzata. Ce n’è un’altra però, a ben vedere altrettanto credibile: Massimo aveva 22 anni, aveva un lavoro, non era un quindicenne con la paura della ramanzina di papà. La contravvenzione se la poteva pagare: perché fuggire? E se invece Massimo non stesse fuggendo ma, al contrario, è stato preso di contropiede dalla macchina messa di traverso dietro a una curva? Il padre è convinto di questo: “Erano le 20,30 di sera, quando comincia a imbrunire d’estate. E’probabile che Massimo abbia provato a schivarlo il carabiniere, altro che tentare di investirlo! E poi perché si erano messi lì? E perdipiù senza indossare i giubbotti per la sicurezza stradale, come sarebbe obbligatorio?”. Pignolo, il signor Casalnuovo? E’ il caso di mettersi nei panni di un padre che non solo ha perso un figlio, ma che deve sentirsi dire che è morto per colpa, perché era senza casco e perché ha tentato di investire un carabiniere.

Alcuni particolari che non tornano

Aldilà delle intenzioni di Massimo – che certamente il pm avrà provato a ricostruire, avendo avuto un anno di tempo per indagare – il punto è il calcio che (secondo i testimoni) il maresciallo ha sferrato al Beta 50. Cunsolo nega: Massimo è caduto da solo. Sulla carena del motorino però ci sarebbe un segno che assomiglia moltissimo all’impronta di un piede, e comunque risulta sfondata. Se quello è un calcio, è stato dato anche con forza, cattiveria si potrebbe dire. E qui si ritorna al sentimento di abbandono e diffidenza che attanaglia le famiglie in cui capitano disgrazie di questo tipo. Perché gli stivali del maresciallo non sono stati sequestrati subito, ma solo dopo qualche tempo. Gli abiti e le scarpe di Massimo, invece, sono state sequestrate immediatamente. “Perché?”, si chiede il signor Osvaldo. E non solo. In questa storia c’è anche un altro testimone importante: il collega di Cunsolo. Alcune persone accorse subito sul luogo dell'”incidente” hanno riferito alla famiglia che nell’immediatezza del fatto, l’appuntato avrebbe detto al maresciallo: “Che c…hai fatto?”. Non sappiamo quale sia stata la testimonianza di Cherichella davanti al pm, ma è certo che la famiglia Casalnuovo non può non notare che i due colleghi in questo anno hanno continuato a lavorare insieme, nella stessa caserma e sullo stesso territorio. Non sarebbe stato il caso che il comandante della casema di Buonabitacolo provvedesse a chiedere il trasferimento di uno dei due, in via precauzionale e fino al processo? Si tratta di quelle azioni di tutela che non sono solo formalità, ma che aiutano tutti a fidarsi della giustizia. E che molto spesso vengono sottovalutate, tanto da far pensare che vengano scientificamente sottovalutate.

Tentativo di depistaggio?

Massimo cade, ha del sangue sulla fronte. La gente dalla piazza vicina accorre numerosa. Chiedono, vogliono sapere. Intanto, il maresciallo Giovanni Cunsolo viene visto mentre si “affaccenda” intorno al luogo del delitto. Non si mette in un angolo ad aspettare di essere interrogato o dal pm o dalla polizia. No: fa. Per esempio – dicono alcuni testimoni – cerca di spsotare il motorino. Si ferma solo perché la gente urla, e gli dice di stare fermo: “Mi hanno parlato di quasi una rissa”, dice il padre di Massimo. D’altronde, da aspettare c’è parecchio. Nell’immediato, a fare i primi rilievi, arrivano altre pattuglie di carabinieri. La polizia, invece, arriva dopo circa tre ore dall’incidente”. La stazione della polizia più vicina si trova a 20 chilometri da Buonabitacolo.

I soccorsi

Anche quello dei soccorsi, è un capitolo da indagare a fondo. Primo fatto: in ospedale arriva prima il carabiniere (che verrà curato a una gamba) di Massimo. Secondo fatto: prima arriva un’ambulanza, che però si ferma in mezzo alla strada perché non è attrezzata adeguatamente, e aspetta l’arrivo di seconda. Si perdono minuti che potrebbero essere preziosi: “Mi chiedo, e non riesco a darmi pace: perché? Forse i carabinieri non hanno chiamato dicendo che si trattava di qualcosa di grave? Che era un codice rosso? Hanno sottovalutato? Qualcuno mi ha detto che il carabiniere diceva alla gente accorsa: ‘non morirà, non vi preoccupate'”, racconta Osvaldo Casalnuovo.

La lettera del padre

E’ passato più di un anno. Come è normale, la famiglia di Massimo non si dà pace. E parlare con loro significa trovarsi di fronte a persone che hanno subito un lutto gravissimo, e che – come sempre accade in queste storie – si sentono abbandonate, hanno una folle paura di non riuscire a difendere i propri diritti. Paranoia? Non è questo. Si tratta di fatti. Il signor Osvaldo Casalnuovo, che ancora non riesce a dire senza che gli si spezzi la voce la data della morte del figlio, li elenca, uno dopo l’altro: “L’ultima cosa è che ho scoperto soltanto perché ho cambiato avvocato che quattro mesi fa il pubblico ministero ha chiesto una proroga delle indagini, e che per diversi mesi questa richiesta di proroga è rimasta inevasa. Io non capisco niente di tutte queste cose: ma come mai alla famiglia, che si è costituita come parte civile, nessuno ha detto niente?”. Secondo elemento: “Il maresciallo Cunsolo, indagato, continua a lavorare in quanto pubblico ufficiale a stretto contatto con la Procura che dovrebbe fare luce sulla morte di mio figlio, non si poteva evitare?”. Un’altra di quelle “piccole formalità” puntualmente sottovalutate. Il nuovo avvocato della famiglia Casalnuovo è Cristiano Sandri, il fratello di Gabriele Sandri, il ragazzo romano morto a 26 anni a causa di un colpo di pistola sparato da un poliziotto che è stato condannato per omicidio volontario. “E’ passato troppo tempo dal momento del fatto – dice Sandri – la famiglia legittimamente aspetta l’accertamento della verità sulle modalità della morte di Massimo”. Intanto, il giorno in cui è stato reso noto l’invio dell’avviso di conclusioni delle indagini a Cunsolo, il suo avvocato Renivaldo Lagreca ha tuonato contro chi “sputa sentenze”, difendendo l’immagine del suo assistito “costretto per la divisa che porta a subire tacendo”.

Cinzia Gubbini

FONTE: Globalist

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