MORTE AL POSTO DI BLOCCO: L’ASSASSINO PORTA LA DIVISA

Settembre 4, 2012 0 Di admin

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Il nostro racconto inizia circa un anno fa, il 21 agosto 2011. È quasi sera a Buonabitacolo, un paese di 2825 anime in provincia di Salerno: qui ci si conosce tutti. È ora di cena, il sole è tramontato da poco, ma le luci in strada ancora non sono state accese. I carabinieri improvvisano un posto di controllo di routine, dietro una curva, forse in una posizione non da manuale per fermare in sicurezza gli automobilisti. Un carabiniere sta redigendo un verbale a due ragazzi fermati in motorino senza casco. Il collega sta dall’altra parte della strada. Dalla curva spunta un motorino di cilindrata 50, marca kotir, con alla guida un ragazzo di 22 anni, Massimo Casalnuovo.

 

Conosciuto da tutti come un bravo ragazzo, incensurato, ama il calcio e lavora nell’officina del padre, in quel momento sta tornando a casa.Massimo è senza casco quando gli si para davanti, dietro la curva, il carabiniere che aveva improvvisato il posto di controllo. Il ragazzo lo scarta e fa questa mossa forse solo per evitarlo. L’altro carabiniere, dall’altra parte della strada, scende dalla gazzella forse gli urla qualcosa, comunque cerca di fermarlo. Massimo prosegue e pochi istanti dopo è a terra, ormai tra la vita e la morte.

Non è armato, non è ricercato, non ha sfondato un posto di blocco, casa sua è a pochi metri da lì. Cos’è successo? Qui le versioni, come purtroppo troppo spesso succede in Italia, divergono. Il maresciallo dei carabinieri che è balzato fuori dalla macchina racconta che Massimo ha accelerato per evitare di essere fermato e ha perso il controllo del mezzo. Secondo il carabiniere quarantenne, Massimo avrebbe anche tentato di investire uno dei due militari. Per fortuna, però, i ragazzi presenti non rimangono in silenzio e raccontano cosa hanno visto con i loro occhi: “Il maresciallo dei carabinieri è balzato fuori dall’auto dove stava redigendo il verbale e ha cercato di fermare il motorino. Il conducente lo ha evitato, il militare ha sferrato un calcio sul lato sinistro del mezzo, un Beta 50. Il ciclomotore ha percorso ancora alcuni metri sbandando, poi è sbattuto contro un muretto a secco di un ponte che sovrasta il fiume Peglio. Il ragazzo che lo guidava è stato sbalzato a terra, aveva sangue sulla fronte e non appariva cosciente”, ha spiegato Emilio Risi al Corriere del Mezzogiorno. La sua testimonianza viene confermata da almeno un altro ragazzo che era sul posto.Ma la storia non finisce qui.

In tanti scendono in piazza capendo che era successo qualcosa di strano. I racconti parlano dei carabinieri che subito spostano la propria macchina e tentano di spostare il motorino di Massimo. La gente presente si mette a urlare, visto che quello è un tentativo di cambiare le carte in tavola prima dei rilievi. Alla fine solo la presenza di decine e decine di persone porterà all’arrivo della polizia, dopo che erano stati altri colleghi dei due carabinieri presenti a prendere i rilievi, non garantendo così un’imparzialità di giudizio. Il resto sono solo momenti concitati di disperazione: una prima ambulanza che arriva, ma non interviene perché non era attrezzata per un codice rosso, come se la segnalazione dei carabinieri presenti non fosse stata ben fatta. Poi l’arrivo di una seconda ambulanza, che trasporta il ragazzo ormai esanime. E la beffa di trovare i carabinieri andati in ospedale per farsi refertare il piede “per il tentato investimento” prima dell’arrivo del ragazzo.

Infine, il solito corollario di casi di questo genere, dove il probabile assassino porta la divisa: nei giorni successivi subito si mette in pista la macchina comunicativa che cerca di infangare la memoria di Massimo, come se qualcuno cercasse una scusante per quella morte senza un motivo plausibile. Tentativo fallito, visto che in poco tempo si è creato un comitato per la verità e la giustizia e tutta la comunità di Buonabitacolo si è stretta intorno alla famiglia Casalnuovo, tanto che anche il Sindaco ha indetto un consiglio comunale straordinario. Poi il silenzio. “Voglio sapere la verità: se il calcio c’è stato me lo devono dire”, è il grido di dolore di Osvaldo, il papà di Massimo. “Dopo più di un anno io non so nulla, non conosco il motivo della morte di mio figlio. Il Pm che sta indagando non si è neanche degnato di presentarsi, né tanto meno i carabinieri o le istituzioni: è calato il silenzio e nient’altro. Quello che tutti devono capire è che in quel maledetto momento poteva esserci chiunque di noi. Io voglio la verità e poi chiederò giustizia. E lo voglio fare perché una cosa del genere non possa più capitare a nessuno”.

Proprio il ruolo delle famiglie in situazioni come questa è determinante: senza il coraggio di padri, madri o fratelli che combattono per la verità molto probabilmente di casi come questo nessuno ne sentirebbe mai parlare. Dal punto di vista legale, abbiamo potuto consultare in esclusiva perPanorama la perizia sul motorino, dove si può ben vedere la foto della plastica rotta dello scooter in corrispondenza del calcio sferrato dal carabiniere, come raccontato dai testimoni. E abbiamo potuto leggere anche quella sullo scarpone del carabiniere. Gli accertamenti tecnici effettuati dalla Polizia Scientifica di Roma, in data 7 febbraio 2012, hanno evidenziato “striature di colore nero sulla parte bassa della carena del ciclomotore (con ogni probabilità i segni dello stivale del maresciallo ndr) nonché sulla porzione di gomma di colore nero prelevato dalla suola della scarpa destra, in corrispondenza della punta lato anteriore sx, una microstriatura di colore azzurro (lo stesso colore della vernice dello scooter di Massimo ndr)”. L’unica notizia è la proroga alle indagini: chiesta a marzo, la risposta è arrivata solo a fine luglio, quando invece si tratta di un atto che normalmente richiede al gip poche ore di lavoro. Non si capisce, poi, per quale motivo si sia aspettato circa un mese per il sequestro degli scarponi del maresciallo dei carabinieri, quando invece il motorino e le scarpe di Massimo sono stati giustamente sequestrati subito. Il resto è tutto uno sconfortante silenzio.

A oggi un esame autoptico non è stato ordinato e vorremmo capirne i motivi. Non ho potuto ancora leggere le testimonianze rese dai ragazzi presenti e dagli stessi carabinieri – spiega Cristiano Sandri, avvocato da poco nominato dalla famiglia Casalnuovo – come voglio conoscere quali siano state le comunicazioni al 118 e perché i carabinieri hanno lasciato il luogo del fatto prima del trasporto di Massimo in ospedale.  E poi non posso non sottolineare quanto meno la poca opportunità nell’aver trasferito i carabinieri sempre in coppia e solo in un altro paese e quindi facendoli rimanere nell’area di riferimento della stessa procura che sta indagando su di loro”. Già, nel caso di Riccardo Rasman a Trieste addirittura la procura aveva affidato le indagini agli stessi poliziotti che uccisero il ragazzo triestino. Anche su questo non c’è nulla di nuovo. Come sul silenzio che è calato a comando sulla vicenda. Addirittura ultimamente a una partita della Salernitana la famiglia avrebbe voluto esporre uno striscione che chiedeva solamente verità e giustizia, senza alcuna frase ingiuriosa. Il risultato? Permesso negato dalla questura di Salerno per una presunta “non compatibilità” con l’evento sportivo. Quello che è certo è che parenti e amici non si sono dati per vinti: nel primo anniversario tantissime sono state le persone presenti alla fiaccolata e al concerto in memoria di Massimo. E ora anche la “Buonabitacolo soccer” porta il suo nome. Perché nessuno ha voglia di dimenticare: tutta una comunità chiede solo verità. Ora la parola passa alla procura che deve rispondere a questo legittimo desiderio, sperando che non diano ragione al famoso monologo di Ascanio Celestini dal titolo “la divisa non si processa”.
FONTE: abusodipolizia.it

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